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Risalendo la corrente

Guglielmo Monti

I miei primi contatti con le opere di Alberto Baumann, esposte al sole del suo attico di viale Trastevere, sono avvenuti sotto il doppio segno dell'attrazione e dell'insoddisfazione. Si trattava si sculture, spesso ottenute con assemblaggi di oggetti metallici già lavorati, che suggerivano racconti interrotti, scherzi e spiazzamenti riferiti al senso che il manufatto portava con sé dall'origine, all'uso improprio che ne veniva fatto e al nuovo stimolo che nasceva dal rapporto tra materiali di partenza e operazioni condotte sui loro corpi.

Era evidente l'aspetto giocoso e provocatorio che emanava da quelle realizzazioni ma non ne scaturiva mai il senso di epico appagamento che spesso la scultura, anche quando è costruita con rottami come quella di Tinguely, riesce a infondere in chi lo guarda. Persino sotto il cielo mediterraneo della Sardegna, immersi nella vegetazione di una villa a piombo sul mare, quegli oggetti comunicavano una festosa inquietudine, come se il loro destino non si fermasse lì. E' una sensazione che peraltro è molto in sintonia con l'attitudine del loto autore, splendido talento di declamatore, innamorato della bellezza e pervaso di poesia, ma frenato nella sua espansione da uno schivo pudore, che lo porta spesso a evitare gli incontri. Anche negli slanci comunicativi d'altronde è come se a tratti un intimo senso del ridicolo lo portasse ad allontanarsi dagli entusiasmi e a buttare tutto in farsa. Conoscendolo ho quindi pensato che le sue sculture gli assomigliavano e potevo considerarle l'espressione compiuta di uno spirito scanzonato e ribelle, restio alle sintesi pacificatorie e incline invece a lasciare i suoi fruitori con un palmo di naso. Mi sono portato appresso quest'idea anche quando ho visto uscire da polverosi nascondigli i primi quadri, composti associando sgangherate griglie di denso colore nero a vivaci cromatismi racchiusi in forme geometriche.

Pur ricevendone una forte emozione, li ho considerati i sapienti scherzi di un giocoliere che ama conoscere l'arte contemporanea, ma è anche capace d' irriderne i rigori, deformando i rigidi tracciati dell'astrattismo,mutando in arabeschi e bandierine multicolori le geometrie della scomposizione cubista o evocando materici furori con le colature e le ibridazioni. Restava inspiegato, in quest'interpretazione incentrata su una funambolica irriverenza capace di volgere in scherzo i tormenti del novecento, un certo strascico doloroso che gli scuri tracciati lasciavano impresso nella sincera gioia degli accordi solari.

Il sospetto di una partecipazione personale sofferta e coinvolgente, capace di motivare scelte formali necessitate da una spinta interiore, si faceva più consistente di fronte a composizioni ove i reticoli passano in secondo piano, trasformandosi in graffiti interni a compiture colorate dominanti.

L'affermarsi d una gerarchia tra le parti delineava una sintassi, ove, senza perdere la loro danzante leggerezza, gli elementi definivano una profondità e i presupposti di una narrazione.

Pur non irrigidendosi in chiavi linguistiche univocamente determinate, le parti si ordinavano per spingere l'immaginazione a decifrarle, magari in molti modi diversi. Illuminata dalla scoperta di simili prospettive, anche la produzione che mi era apparsa ispirata solo da disinibita irriverenza rivelava inattesi itinerari interpretativi. Potevo scorgervi straziati tracciati di strade urbane, attraverso le quali prendevano ambiguamente forma oscure maschere vivaci quanto indefinite, ma caratterizzate in senso grottesco da un graffiante disordine memore dei borghesi Grosz e dei generali di Baj.

Con sempre maggiore chiarezza i personaggi, senza assumere mai contorni naturalistici, prendevano consistenza e perdevano ambiguità, come se emergessero faticosamente dall'intricato groviglio di segni che li avvolgeva come una nebbia. Mentre le griglie si storcevano e diradavano fino a ridursi a graffi o ad un “ dropping “ che a questo punto mi appariva funzionale alla trama narrativa e sganciato da facili citazionismi, le forme assumevano una crescente consistenza volumetrica, aggregandosi in corpi capaci di popolare le opere pur mantenendo lo scostante mistero di icone astratte, lontane da ogni immediata identificazione. Come nelle storie dipinte da Mirò e o da Gorky, si veniva configurando un mondo dotato di una propria autonomia, capace di generare una fauna fantastica, nutrita da caldi accostamenti di colori evocanti contrasti tropicali e modellata con sicura forza in viluppi animati da continui movimenti di congiunzione e separazione.

La volontà evocativa è confermata ed esaltata dall'apparizione di tessuti tagliati, piegati ed incollati nelle composizioni, come se si volesse in qualche modo vestirle. Va osservato che solo in qualche caso le cravatte, i gilet e le sciarpe diventano indumenti volti ad identificare i personaggi. Più spesso è, l'intero groviglio di forme che viene confrontato con gli inserti materici, investiti da scavi, ripiegamenti e colorazioni tendenti a trasformarli in astratti panneggi sezionati da campiture che li rendono adatti a suggerire nuove apparizioni. La loro funzione è dunque duplice: da un lato rendono più esplicito il desiderio di creare un paesaggio immaginario e di narrarne le vicende, dall'altro moltiplicano, in un fantastico caleidoscopio, le possibili interpretazioni delle forme, alludendo ad uno spazio senza gravità, dove l'alto e il basso possono essere scambiati da forme volanti.

Ma soprattutto, nonostante l'accanito lavoro che tende ad assimilarli al mondo bidimensionale e variopinto dei quadri, questi inserti vi introducono, con discrezione, una terza dimensione scultorea e una chiara aspirazione a mescolare all'artificio compositivo elementi del mondo reale. Nell'arte del novecento non si tratta certo di una novità : il “ collage “ è una pratica diffusa sin dagli albori del secolo, soprattutto in area dadaista e cubista. La sua apparizione segnalò l'intento di svelare e dissacrare l'inganno artistico, mettendo le sue metafore visive a diretto contatto con brani di vita non mediati dall'opera dell'autore.

Su questo percorso la vicenda contemporanea ha proseguito senza esitazioni, arrivando ad immettere nelle gallerie, con le "performance" e gli allestimenti, episodi vissuti che distruggono e vanificano l'artefatto.

Baumann però sembra procedere in un senso opposto, perché e suoi ricorsi a materiali esterni, pur nella loro ambigua altalena tra chiarificazione e complicazione del senso dell'opera, non hanno, come le provocazioni dadaiste, il compito di alieni inviati a farla esplodere, ma piuttosto quello di alleati accolti per arricchirla. Il suo proposito si riallaccia anch'esso all'obiettivo, fondante per tutta la contemporaneità, di sottrarre la produzione estetica all'autorità dell'accademia classicista per restituirla ad un contatto più diretto con l'esistenza, ma lo interpreta come impegno a rendere il manufatto più completo e persuasivo. Il filone a cui sembra alludere è quello inaugurato dall'opera totale wagneriana e da tanto neogotico, diretto verso la riscoperta dell'artigianato e dalla complessità polimaterica, e disposto, nel perseguire la sua vocazione a persuadere un vasto pubblico, a correre il rischio di cadere nel sentimentalismo popolare.

Peraltro il pericolo in questo caso è allontanato da un profondo radicamento nelle esperienze del nostro tempo, accettate con tutto il loro carico di disincanto ed anzi, come abbiamo potuto osservare ricostruendo l'itinerario dell'artista, percorse con irriverente ironia. Il distacco dagli stilemi dell'astrattismo ci appare ora dettato non dalla leggerezza di un temperamento indisciplinato, ma da un ambizioso progetto di rigenerazione, parallelo a quelli di altri eredi della grande tradizione ebraica narrativa come Kiesler.

Risalendo controcorrente, si può tentare di ritrovare, nelle tecniche e nelle icone contemporanee più lontane dalla figurazione e dalla stessa confezione di manufatti, materiali per nuovi racconti, forti dell'evidenza ricavata da accostamenti polimaterici e definitivamente liberi dalle convenzioni ingenue dell'appello alla partecipazione patetica. L'approdo è un difficile equilibrio tra una figurazione allusa e un'astrazione tradita, una scomoda posizione lontana da ogni certezza ma capace di dare alle emozioni un teatro credibile, dove è ancora possibile esprimere drammi e costruire epopee. E' un orizzonte delineato, col recupero di rappresentazioni lontane dalla cultura occidentale, dalla rabbia espressionista e continuato nell'ambito del cosiddetto “ espressionismo astratto” da artisti come De Kooning.

Caratteristica di Baumann è però la capacità di partire da segni astratti per farne emergere, attraverso un sapiente lavoro compositivo, i personaggi di una stralunata imitazione della vita.

In un certo senso, è un itinerario opposto a quello sperimentato dai padri dell'astrattismo, da Mondrian a Kandisky, nella riduzione del mondo visivo a quintessenze spirituali. Ciò che interessa, in questo caso, è invece far tornare nell'opera d'arte una materialità non esibita nella sua irriducibile presenza fisica., ma usata in simbiosi con le astrazioni come veicolo di un senso vissuto. E' chiaro come, nella strategia di un simile ritorno alla raffigurazione di storie, l'introduzione e la manipolazione di oggetti già caricati di significato dall'esistenza giochi un ruolo strategico e molto delicato.

Tornando con questa consapevolezza alle sculture da cui sono partito, alcune perplessità che avevo trovano una spiegazione completamente diversa. Se, al di là della loro ingegnosa giocosità, mi lasciavano insoddisfatto, era forse perché non sono opere finite, ma prove e bozzetti per i dipinti polimaterici. E' probabile che l'autore, rovesciando un procedimento caro agli scultori, plasmi ed assembli oggetti d'uso per provare su di loro mutazioni di senso da inserire poi nei suoi colorati racconti.

Come un tempo gli artefici di grandi gruppi scultorei o affreschi abbozzavano la composizione su un formato più maneggiabile prima di misurarsi con la vastità dell'opera, così Baumann sembra intento, di fronte alla complessità del rovesciamento di senso che i suoi lavori propongono nei confronti dell'arte contemporanea, a prepararsi armi private su cui esercitare i suoi spiazzamenti.

Guglielmo Monti *

2006 - Stra (VE)

* L'architetto Guglielmo Monti era Soprintendente per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Veneto Orientale